Tutto nacque da una dimenticanza, da un tempo lungo impostato per un precedente scatto e non modificato per un successivo.
Mi trovavo in un vecchio villaggio minerario abbandonato della Sardegna orientale, con degli amici, per creare un piccolo reportage sul luogo. La mia fotocamera era là, poggiata sul treppiede. Avevo già inquadrato la scena, pensato allo scatto, quindi, tramite il telecomando, feci click.
L’otturatore si aprì, ed io, pensando che si sarebbe chiuso subito, attraversai il campo visivo del mio obbiettivo entrando non volutamente nella composizione. Lì per lì rimasi quasi infastidito del mio errore ma quando andai a guardare sul monitor il risultato, convinto di dover ripetere lo scatto, vidi una sagoma indefinita, un’ombra che catturò subito la mia attenzione. Essa “colmava” il vuoto di una presenza umana che da tempo ormai non abitava più quel luogo e dava quasi un’anima allo stesso restituendogli un passato e una testimonianza di identità.
Da quel momento intrapresi una ricerca su come utilizzare questi background abbandonati per raccontare un ricordo, un sentimento, una paura o una situazione in cui tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati o ci troveremo catapultati.
L’ombra, entità impalpabile con contorni indefiniti, mi è parsa da subito la forma più idonea per rappresentare questo messaggio. Proseguendo il mio percorso di ricerca, oltretutto, capii presto che la stessa ombra, essendo priva di un’identità precisa, consentiva a chiunque si rapportasse allo scatto, di potersi ritrovare al suo interno, dando un carattere impersonale ad un progetto individuale nato, in un primo momento, per rappresentare i miei stati d’animo.
Anche i luoghi abbandonati, ricchi di pathos e di testimonianze passate, hanno una posizione altrettanto importante nella mia ricerca. Essi mi hanno sempre affascinato perché specchi dei tempi che mutano e custodi di ricordi.
Definirei questa serie come un “reportage onirico” che, a differenza di un classico reportage che spazia su paralleli concreti, vuole gravitare all’interno della sfera cerebrale e dell’inconscio, cercando di rappresentare tutto l’insieme di emozioni che quotidianamente ci pervadono.